I recenti fatti di cronaca che hanno colpito gli Stati Uniti hanno riacceso i dibattiti sul razzismo in tutto il mondo.
Possiamo affermare che le forme esplicite di razzismo sono ora significativamente meno comuni di quanto non fossero in passato ma comunque presenti in forme più sottili specialmente in ambito aziendale. Infatti, nella routine, le esperienze con il razzismo non sono degne di nota come in questi ultimi giorni, ma comunque quotidiane.
Nel contesto lavorativo per discriminazione razziale si intende un trattamento sfavorevole nei confronti di un candidato o dipendente. In particolare discriminazioni a causa della sua razza o delle sue caratteristiche legate alla razza spesso accoppiata al “colore della pelle”.
Prima di addentrarci sull’argomento è d’obbligo parlare di pregiudizio. Esso è definito come un atteggiamento con accezione negativa nei confronti di una persona a causa della sua appartenenza a un particolare gruppo (ad esempio, genere, classe, nazionalità e razza).
Il pregiudizio e tutti gli atteggiamenti ad esso legato, come il razzismo, sono molto difficili da cambiare, perché non dipendono solo da concetti e credenze trasmesse, ma sono in realtà il frutto della nostra percezione sociale. Potremmo non avere mai la soluzione per sradicare il pregiudizio. Alcune misure, però, aiutano a mitigarlo e a contenerlo, motivo per cui alcuni gruppi, organizzazioni e società sono meno “razzisti” di altri.
Un breve accenno molto utile per capire il fenomeno è quello espresso da Tajfel e Turner, con la loro “Teoria dell’identità sociale”. Essi sostengono che quando si entra in contatto con soggetti appartenenti al nostro stesso gruppo sociale le differenze vengono minimizzate e le somiglianze accentuate. Specularmente, invece, quando abbiamo a che fare con soggetti appartenenti ad un gruppo diverso dal nostro le differenze vengono sovraconsiderate, mentre le somiglianze tendono ad essere minimizzate o contestualizzate.
Inizio subito a parlare dello studio sulla diversità e l’inclusione del 2019 che ha rivelato la presenza della discriminazione sul lavoro. E’ emerso, nel sondare i dipendenti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in Germania, che il fenomeno del razzismo è comune in tutti gli stati anche se in misura diversa.
Tra i risultati chiave dell’indagine:
I risultati di questo sondaggio dovrebbero essere un campanello d’allarme per lavoratori e datori di lavoro per promuovere una cultura più inclusiva e porre così fine a qualsiasi forma di discriminazione sul lavoro.
Il paradosso che emerge nelle varie ricerche è che molte aziende affermano che la diversità e l’inclusione sono tra i loro valori più alti, pur perpetuando lacune salariali, team di leadership completamente bianchi e alti tassi di turnover dei dipendenti di colore.
L’American Psychological Association osserva che gli “effetti delle vittime” della discriminazione razziale comprendono il disturbo post-traumatico da stress, depressione e ansia. E’ inoltre minata la propria autostima e il senso di autoefficacia che da un punto di vista lavorativo si traduce in una bassa performance, maggior assenteismo e alto tasso di turnover.
Sia i datori di lavoro che i dipendenti hanno responsabilità quando si tratta di promuovere e monitorare la politica sulla diversità razziale ed etnica sul posto di lavoro. Entrambe le parti interessate devono lavorare insieme per garantire il successo delle iniziative riguardanti la diversità in azienda.
I datori di lavoro dovrebbero fungere da facilitatori e fornitori di conoscenze per migliorare le relazioni tra i dipendenti. Dovrebbero garantire, inoltre, il miglioramento della consapevolezza sulla discriminazione razziale e la diversità etnica nei luoghi di lavoro.
I dipendenti e le organizzazioni incaricate di tutelare i diritti dei lavoratori dovrebbero fare pressioni sulle aziende per garantire a tutti i lavoratori pari opportunità in tutte le fasi del ciclo del lavoro: dall’accesso al lavoro, alla formazione, passando per la crescita di carriera e giungere alla pensione. I dipendenti hanno anche un ruolo importante nella sensibilizzazione reciproca sul diritto ad un posto di lavoro libero da discriminazioni razziali e nel supportare i propri colleghi quando si verificano dei casi concreti.
In definitiva, è soprattutto responsabilità del management dimostrare il proprio impegno nei confronti della diversità e del valore che esso apporta all’azienda. Inoltre, i manager devono comunicare attivamente la loro posizione sulla discriminazione razziale e su ciò che non sarà tollerato insieme alle conseguenze della violazione. Il razzismo, in qualsiasi forma, non dovrebbe mai essere trascurato, scusato o tollerato.
La prima e più efficace azione che un’organizzazione può fare per combattere il razzismo è assicurarsi che le persone più aperte, altruiste ed empatiche (caratteristiche che le rendono generalmente meno razziste) finiscano per essere impegnate nella diversità e nell’inclusione aziendale. E’ importante che assumano ruoli di leadership perchè hanno la grinta, il coraggio e la dedizione per lottare per un migliore status quo. In qualsiasi organizzazione, è più probabile che il cambiamento avvenga dall’alto verso il basso, pertanto i leader hanno il potere di cambiare le convinzioni e i comportamenti delle persone.
La seconda misura utile che le aziende dovrebbero utilizzare per combattere il razzismo o qualsiasi tipo di discriminazione è “sanzionarlo”. La cultura aziendale comprende sempre regole sia esplicite che implicite per governare le interazioni tra i suoi membri, ed è compito dell’organizzazione infondere una cultura di civiltà, rispetto e gentilezza. Ciò avviene attraverso un programma a lungo termine e sistematico volto a creare una cultura inclusiva, in cui le minoranze non si sentano solo “tollerate”, ma in realtà valorizzate. Una cultura grazie alla quale le persone siano percepite come individui piuttosto che come categorie di gruppo e dove manager e dipendenti vengono premiati per il rafforzamento di questo stato attraverso le loro azioni quotidiane.
Già dal primo ingresso in azienda e quindi nella scelta dei candidati è strategico ampliare l’attenzione e l’interesse verso la diversità e la molteplicità di caratteristiche e competenze degli stessi.
La formazione per promuovere atteggiamenti e comportamenti anti-razzismo è fondamentale. Ma affinché sia realmente efficace i dipendenti devono riscontrare nel sistema manageriale gli stessi atteggiamenti, messaggi culturali e credenze professate.
E’ fondamentale sviluppare una politica scritta per aiutare a ridurre il razzismo sul posto di lavoro e far rispettare una severa tolleranza nei confronti dei trasgressori. Le politiche aziendali assicurano che i valori e le filosofie delle imprese possano essere bilanciati con una buona responsabilità sociale.
Molti datori di lavoro perpetuano il razzismo nel proprio posto di lavoro perché non riconoscono i difetti della propria cultura aziendale interna. Affrontare i pregiudizi inconsci con l’aiuto magari di una terza parte (spesso esterna all’azienda), e dare uno sguardo onesto alla propria cultura può aiutare a minimizzare i vincoli che impediscono alla cultura di prosperare.
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La giustizia e l’uguaglianza sono componenti fondamentali del benessere dei lavoratori. I datori di lavoro hanno il potere di apportare una modifica e garantire che i loro luoghi di lavoro operino sulla base del benessere e dell’uguaglianza per tutti. È sempre più necessario che usino quel potere per affrontare il nesso tra razzismo e salute mentale.
Nessun ambiente umano sarà mai libero da pregiudizi, ma le organizzazioni umane possono fare molto per ridurre la discriminazione sul posto di lavoro, incluso il razzismo.
H. Tajfel, Social Identity and Intergroup Relations. Cambridge University Press.
H. Tajfel, Human Groups and Social Categories: Studies in Social Psychology. Cambridge University Press.
National Center for Biotechnology Information
U.S. Businesses Must Take Meaningful Action Against Racism, Harvard Business Review
How to build an actively anti-racist company, QZ.com
How To Combat Racism At Work, Forbes