L’avrai notato: si sta sempre più parlando di persone. Dipendenti o lavoratori e lavoratrici sono termini che si usano sempre meno, a volte con addirittura un po’ di reticenza. Persone è il trend. Eppure, proprio per questo, rischia di essere una retorica vuota.

Cosa vuol dire persone? Che cosa si intende quando si parla di “persone in azienda” o di “mettere le persone al centro”? Davvero, cosa significa?

Se dici persona ti stai assumendo una responsabilità.

La scelta di usare “persona” e non dipendente o lavoratore e lavoratrice risiede spesso nella volontà di dare maggiore riconoscimento e dignità a chi lavora in azienda, andando oltre il ruolo e la funzione ricoperta per abbracciare la persona – appunto – nella sua interezza.

Parlare di persona significa allora riconoscere i bisogni, le aspirazioni, le caratteristiche, i vissuti, le esigenze che ogni persona possiede in quanto tale, in virtù di chi è, del momento di vita che attraversa, delle esperienze che fa e così via. Ed è qui che la questione si complica.

Costruire ambienti, spazi, modelli, processi a misura di persona significa infatti assumersi una responsabilità. Significa dichiarare che ci si sta rivolgendo a una pluralità di individualità necessariamente diverse, che hanno però tutte il diritto di poter essere riconosciute per ciò che sono: per età, genere, identità di genere, orientamento sessuale, abilità, cultura, ruolo, carattere, competenze, storie di vita e così via.

Eppure le aziende non sono ancora inclusive a questo livello. Il vademecum sull’inclusione utilizza il maschile generico e sovraesteso, la bandiera LGBTQ+ viene rispolverata solo a giugno e spesso perde colori per strada, la disabilità viene taciuta. Le immagini che accompagnano la comunicazione esterna ritraggono uomini bianchi e donne bianche, in ogni caso persone abili, verosimilmente cis ed eterosessuali e di bell’aspetto. Le fragilità e i vissuti psicologici non trovano spazio nelle conversazioni quotidiane.

La psicologia come strumento di inclusione in azienda.

Dobbiamo fare spazio a ciò che rende le persone ciò che sono e per farlo, è necessario includere la psicologia nei processi organizzativi. Da sempre scienza che studia i comportamenti e la mente umana, è infatti la disciplina che più ha la possibilità e la facoltà di includere, davvero, la complessità umana di ogni persona.

Ecco perché un’azienda inclusiva è anche un’azienda che offre alle sue persone momenti e servizi per poter parlare di salute psicologica e poter garantire spazi sicuri in cui esprimere le proprie fragilità.

Garantire un servizio di supporto psicologico alle proprie persone è una dichiarazione. Facendolo, l’azienda sta dichiarando che ti vede, ti guarda e sa che è normale avere momenti di difficoltà, volersi conoscere più a fondo o sentire il bisogno di potenziare le proprie risorse.

La strada per l’inclusione è lunga, complessa e spesso accidentata. Deve essere costruita passo per passo, cominciando dall’interno, dalle persone, dalla cultura, dal linguaggio, per poi passare all’esterno, e alla comunicazione. È lo stesso processo che caratterizza la crescita personale. Prima mi rivolgo dentro di me, prendo consapevolezza, riconosco i miei limiti e le mie potenzialità, mi assumo le responsabilità e solo successivamente riporto tutto questo al di fuori di me, nelle mie relazioni, nel mio lavoro.

Il valore è in ciò che si è, poi arriva il business.

Sentire di poter portare tutte se stesse e tutti se stessi nel proprio luogo di lavoro dovrebbe essere la base di qualsiasi processo o iniziativa di inclusione. Aumentare la diversità, includendo tanto per includere, non è efficace. Solo se le persone si sentono apprezzate, ascoltate, riconosciute e rispettate, la diversità potrà generare valore. Valore che non genererà di per sé, ma valore che andrà tirato fuori, incanalato, gestito.

Valore, che impatterà positivamente anche sul business, sebbene sia evidente quanto questo aspetto non possa essere il motore. È infatti necessario abbracciare una visione più ampia del successo aziendale, in modo che non si guardi solo ai numeri e al ROI, ma anche all’innovazione, alla contaminazione, alla creatività e alla dignità umana.

È questo che significa “persone in azienda” o “mettere le persone al centro”: rivolgersi alla dimensione umana per permettere al valore di ciò che ogni persona è, di esprimersi.

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