Salute Mentale: una questione di genere?

L’8 Marzo si celebra la Giornata Internazionale dei Diritti della Donna, un’occasione per riflettere sulle lotte femminili per la conquista dei propri diritti nella società. Sebbene siano tante le conquiste sociali e politiche che sono state fatte durante gli anni, molta strada è ancora da percorrere.

Come si declina, in questo contesto, il diritto alla salute mentale? Quanti passi sono già stati fatti in questa direzione – e quanti ancora da fare – per raggiungere un’effettiva parità di genere?

Attraverso un viaggio tra i più recenti dati sulla salute mentale femminile, scopriremo insieme quanto normalizzare questo tema rappresenti una priorità, non solo per il benessere psicologico delle donne ma anche – e soprattutto – per quello dell’intera società.

I numeri della salute mentale femminile.

Secondo la Mental Health Foundation, una donna su cinque soffre di ansia o depressione. Lo stesso dato, se riferito agli uomini, scende a uno su otto. Ma non finisce qui: le donne hanno una probabilità di sviluppare disturbi legati all’ansia doppia rispetto agli uomini.

Inoltre, circa il 26% delle giovani donne tra i 16 e i 24 anni dichiara di aver compiuto atti autolesionistici durante la propria vita, mentre questo vale solo per il 9% degli uomini della stessa età.

Se analizziamo i disturbi del comportamento alimentare, il divario aumenta ulteriormente: quasi la totalità delle diagnosi di anoressia e bulimia proviene da persone di sesso femminile, e oltre la metà dei casi di binge eating (disturbo caratterizzato da grandi abbuffate con perdita di controllo) sono donne.

In aggiunta, le donne hanno una probabilità maggiore rispetto agli uomini di essere esposte a maltrattamenti e abusi, con il rischio di sviluppare un disturbo da stress post-traumatico come conseguenza. Il dato, anche in questo caso, preoccupa per la sua incidenza: si stima che il 20% delle persone di genere femminile subisca o assista a stupri e/o abusi durante la propria vita.

Per interpretare al meglio questi dati, tuttavia, occorre fare un passo indietro e domandarsi il motivo di tali differenze. Solo comprendendole a fondo, infatti, è possibile costruire un contesto che favorisca il benessere psicologico di tutti e tutte, a prescindere dal loro genere di appartenenza, sia dentro che fuori l’azienda.

Quanto impattano gli stereotipi sulla salute psicologica?

Un primo aspetto da considerare quando si parla di salute mentale femminile è quello dei diversi ruoli che donne e uomini rivestono all’interno della società: secondo una recente ricerca Ipsos, gli stereotipi prevalenti associano alle donne il ruolo di madri e caregivers, mentre agli uomini quello di leader e instancabili lavoratori. Ciò comporta, inevitabilmente, una cascata di attributi e pregiudizi associati al proprio ruolo sociale che impatta fortemente sulla salute psicologica.

Oltre alla pressione derivante dai ruoli sociali, tra i fattori di rischio psicologico a cui risultano esposte maggiormente le donne emergono le discriminazioni di genere, le disparità di paga, la violenza domestica e gli abusi sessuali. A questi si aggiungono, poi, gli standard di bellezza perfetti e irrealistici a cui le ragazze, fin da giovani, sono spinte (più o meno direttamente) a conformarsi, i quali possono portare a sviluppare un rapporto conflittuale con la propria immagine di sé traducendosi, in alcuni casi, in disturbi del comportamento alimentare.

Quanto detto finora, tuttavia, è solo una faccia della medaglia. Gli stessi stereotipi che, descrivendo le donne come attente alla cura, empatiche e sensibili, le espongono a vissuti di sofferenza psicologica, sono anche quelli che legittimano loro tali vissuti. E che, automaticamente, li delegittimano per gli uomini. Piangere, chiedere aiuto o semplicemente mostrare la propria sensibilità non si allinea infatti allo stereotipo maschile. In molti contesti, chi mostra questa parte di sé viene deriso e vede delegittimata la propria mascolinità.

“Alle donne è concesso piangere, agli uomini no.” Generalizzando, è forse questa la frase che meglio sintetizza quanto i dati sulla salute mentale femminile siano probabilmente distorti. Alle donne è concesso di dichiarare la loro sofferenza psicologica, mentre agli uomini non è riservato lo stesso trattamento.

Parallelamente a ciò, è diverso anche il modo in cui, fin dall’infanzia, bambine e bambini vengono educati a esprimere le loro emozioni, abituandosi a comunicarne apertamente alcune e a nasconderne altre. Gli studi in Psicologia dimostrano che le femmine esprimono le loro emozioni più apertamente, intensamente e frequentemente dei loro coetanei maschi, utilizzando anche maggior complessità nella comunicazione dei loro sentimenti. Ciò contribuisce ad alimentare la difficoltà con cui, anche in età adulta, i maschi saranno in grado di riconoscere i propri vissuti emotivi e di esprimerli correttamente.

È interessante notare come la rabbia e l’aggressività rappresentino, invece, una delle poche eccezioni: gli uomini sembrano essere più propensi a comunicare queste emozioni, mentre le donne a reprimerle, rafforzando lo stereotipo che le dipinge come maggiormente posate e gentili.

Verso un benessere senza discriminazioni

Oltre agli stereotipi di genere che facilitano alle donne la manifestazione dei propri vissuti psicologici molto più che agli uomini, la Mental Health Foundation sottolinea un ulteriore aspetto: le donne hanno, solitamente, migliori reti sociali e di supporto emotivo. Importanti fattori, questi, per la prevenzione del disagio psicologico.Abbiamo già visto in un precedente articolo di questa newsletter quanto le relazioni con le altre persone siano un potente alleato per la gestione dello stress e la promozione del benessere.

Il quadro è, quindi, molto più complesso di come potrebbe sembrare ad una prima lettura. Se gli stereotipi di genere non incatenassero donne e uomini a ruoli sociali rigidi e obsoleti forse i dati sulla salute mentale cambierebbero.

Emerge, dunque, la necessità di promuovere una cultura attenta al benessere psicologico di tutte e tutti, indipendentemente dalla propria identità di genere. Per farlo, il primo passo è quello di superare lo stigma sulla salute mentale normalizzando, sia dentro che fuori l’azienda, il confronto, l’accettazione e il dialogo sulle tematiche di natura psicologica.

Soltanto accrescendo la consapevolezza sul tema si può contribuire a colmare il divario di genere che ancora emerge con chiarezza, e compiere così un’azione concreta affinché la salute mentale non sia una delle tante variabili collegate al proprio genere di appartenenza, ma un diritto insindacabile di ogni persona.

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