Quando leggo un libro di management che parla della funzione Risorse Umane mi si accendono migliaia di lampadine e mi entusiasmo. Mi attivo subito e inizio subito a pensare in che modo posso applicare tutto quello che ho appena letto. Faccio progetti, penso ai risultati che si possono ottenere, chi coinvolgere in azienda e come.
Non ho mai avuto la fortuna di lavorare in Google, Netflix, Microsoft o Apple e quindi il confronto con la realtà è inesorabile. E così l’entusiasmo si trasforma in fretta in delusione fino ad arrivare a provare rabbia per chi ha scritto il libro.
In che mondo vive questo o questa? La vita quotidiana di chi lavora nelle risorse umane in Italia è tutta un’altra cosa.
Ecco questo mi capita quasi sempre. Tranne che per due libri che ho letto ultimamente. Il primo è Risorse Inumane, diario segreto di un direttore del personale (Anteprima edizioni). Un libro molto sarcastico e cinico che racconta la quotidianità di chi lavora nelle risorse umane. Un libro dove finalmente ho trovato cose che non avevo mai letto in nessun altro libro di management.
Un libro divertente, interessante con molti spunti ma alla fine dei conti solo un racconto.
Il secondo libro che ho letto invece è stata una vera e propria rivelazione: No Rules Rules scritto da Reed Hastings e Erin Meyer.
Riassumere in un articolo tutti gli elementi e gli stimoli che sono presenti nel libro è impossibile. Ma vale la pena mettere in luce alcuni elementi ma il mio consiglio è che dovete assolutamente leggerlo perchè questo libro è la Bibbia della funzione Risorse Umane del futuro.
Nella sostanza in tutto il libro si parla, con diversi gradi di approfondimento, dei principi che hanno fatto di Netflix un’azienda vincente, cioè:
Quindi solo tre elementi che teoricamente sono anche di facile applicazione, a patto che davvero li si voglia applicare.
Ma entriamo più nel dettaglio.
La chiave di tutto è in questa prima regola. Se non hai la certezza di avere un’alta densità di talento non ha senso applicare le altre regole. Ma cosa significa?
In pratica fare in modo di avere in azienda solo le persone migliori per un determinato ruolo. Semplice no? Eh mica tanto.
Aumentare la densità di talento porta con sè una serie di conseguenze. Prima di tutto bisogna distinguere chi all’interno della propria organizzazione può fare davvero la differenza. Ovvero quei ruoli dalla cui performance e la capacità di innovare dipende il reale successo dell’azienda. E già qui si apre un mondo. Quante aziende hanno fatto una riflessione approfondita da questo punto di vista?
Per scegliere a chi affidare questi ruoli non ti devi mai accontentare, ma devi cercare la persona migliore possibile. Meglio avere un talento vero che 4 persone brave. In pratica puntare alla qualità piuttosto che la quantità, scegliendo con estrema cura la persona che una volta individuata va retribuita con la massima retribuzione possibile. Ma attenzione NIENTE GENI ARROGANTI. La competenza e la qualità professionale viene sempre valutata in relazione all’atteggiamento. Se sei una persona problematica o che crea problemi non puoi lavorare in Netflix.
La maggior parte delle aziende deve fare i conti con il fatto che nel corso degli anni si ritrova persone inadeguate che nel tempo sono arrivate a ricoprire ruoli importanti per cui non hanno le competenze. E’ un fenomeno studiato dallo psicologo canadese J. Peter
In una gerarchia, ogni dipendente tende a fare carriera fino al proprio livello di incompetenza.
In pratica in molte aziende le persone che dimostrano doti e capacità nella posizione in cui sono collocati, vengono promossi ad altre posizioni. Questa dinamica, di volta in volta, li porta a raggiungere nuove posizioni in un processo che si arresta solo quando accedono ad una posizione per la quale non dimostrano di possedere le necessarie capacità: tale posizione è il “livello di incompetenza”. E’ il fenomeno per cui prendo un ottimo tecnico, e in virtù delle sue competenze lo promuovo a capo dei tecnici. Nella maggior parte dei casi perdo un ottimo tecnico e acquisto un pessimo capo.
Quando poi si decide di inserire in azienda una nuova professionista troppe volte le selezioni vengono fatte sempre in ritardo, con la massima urgenza e la scadenza è sempre ieri.
Se poi la persona si rivela tossica per l’ambiente sono poche le organizzazioni che decidono di privarsi di una risorsa competente. Spesso si accetta la situazione come un effetto collaterale inevitabile. Sui livelli retributivi beh…stendiamo un velo pietoso.
Se invece l’azienda non è come quelle appena descritte e quindi si riesce ad aumentare la densità di talento non ci si può cullare sugli allori, ma ogni manager deve farsi una domanda, definita nel libro “keeper test”. “Se una persona del mio team dovesse lasciare il lavoro domani, cercherei di fargli cambiare idea, o accetterei le sue dimissioni, magari con un po’ di sollievo?”
Se la risposta è cercherei di tenerla a tutti i costi, ottimo. Ma se invece accettereste le dimissioni allora il consiglio è di chiudere immediatamente il rapporto di lavoro. E’ vero che il libro si basa su una cultura del lavoro americana, ma il concetto è che se non pensi di avere effettivamente il meglio per un determinato ruolo…fai subito qualcosa. In Netflix nessuno viene licenziato per aver fatto un errore, si viene licenziati se non si cresce e se non si performa. E ovvio che per fare questo serve una cultura dell’errore che sia sana e non punitiva, ma quanto sarebbe più meritocratica una cultura generalizzata di questo tipo?
Comunque se si è riusciti a creare una buona densità di talento allora si può passare alla seconda regola.
Il concetto è semplice. Se hai tutte persone valide e di talento all’interno della tua organizzazione condividi tutte le informazioni e tratta tutti i collaboratori come persone adulte, quindi in grado di accogliere, capire e gestire le informazioni che l’azienda ti offre.
Prima di tutto le persone che hanno informazioni saranno in grado di decidere in maniera autonoma. Saranno in grado di valutare le situazioni e di prendere decisioni in maniera veloce ed efficace. Chi come me lavora da anni in azienda sa bene la frustrazione che si prova quando per prendere una decisione bisogna fare il giro delle sette chiese, quando invece la velocità e l’efficacia decisionale fa la differenza tra un’azienda di successo e una che arranca.
Il secondo punto è la possibilità di dare e ricevere feedback in maniera semplice. Persone valide e di talento nel momento in cui hanno la possibilità di confrontarsi tra di loro in maniera costruttiva, dandosi feedback in maniera corretta non fanno altro che crescere e migliorare le proprie performance.
Nel libro il tema del feedback viene sviscerato in maniera molto interessante e ci sono un sacco di spunti. Prima di tutto viene consigliato di dare feedback costanti e sinceri con la formula delle 4A, infatti l’obiettivo di ogni feedback deve essere:
Inoltre, in Netflix, periodicamente vengono organizzate delle sessioni di valutazione generale che vengono svolte anche in gruppi con la formula del: Comincia a…, smetti di…, continua a… in queste occasioni la regola è almeno il 25% di feedback positivi e 75% di aree di miglioramento.
In un ambiente con persone di talento, abituate a dare e ricevere feedback inevitabilmente si vive in un contesto che ti spinge a crescere. E in un contesto sano si può passare alla terza regola.
Quanti controlli ci sono in azienda? Procedure di acquisto, politiche legate alle ferie, travel policy, autorizzazioni ad avviare progetti, e così via.
Ogni organizzazione mette dei controlli per avere la certezza di mantenere un alto livello di performance e prevenire gli errori. Ma nella realtà i controlli non fanno altro che ingessare e rallentare l’organizzazione. Ovviamente sono indispensabili se pensi di avere come collaboratori persone immature e di base truffaldine, o se l’azienda lavora in un settore dove la sicurezza e fondamentale o dove un errore può avere delle ripercussioni catastrofiche (es. settore medico o oil&gas). Ma se l’azienda lavora in un settore dove l’innovazione è fondamentale e si ha la certezza di avere dei talenti che lavorano per fare il meglio della tua organizzazione servono davvero i controlli?
In pratica fanno i cani pastore. L’effetto? Che alla prima occasione le persone cercano di fregarti. Infatti il più infallibile sistema di controllo non sono i manager e nemmeno le telecamere di sorveglianza ma il contesto. Guidare con il contesto e non con il controllo significa che le persone sanno benissimo cosa è accettabile e cosa no all’interno dell’organizzazione. In Netflix non esiste una politica delle ferie. Chiunque può andare in ferie quando vuole e per quanto vuole. Ma se qualcuno ne approfitta non serve che il manager intervenga, ci pensano i colleghi ad arginare e isolare chi non si comporta come deve.
E così si arriva all’ultimo capitolo da titolo: apritevi al mondo! Ma non ve ne parlo. Sarebbe uno spreco! Vi tocca leggere il libro!
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Grazie per questo articolo Gianmarco.
Certi principi sono talmente semplici da essere quasi scontati e invece, guardando realtà diverse, sono chimere che si trascinano gestioni ancora fondate su principi vetusti.
Credo che spesso, chi crea innovazione, si limiti ad applicare il mero senso logico, senza voli alla ricerca del “nuovo per forza”.