Cosa ha a che fare il coro di una chiesa con una colla adesiva? Apparentemente nulla, se non il fatto di aver dato origine a uno dei prodotti più famosi e di successo della 3M, multinazionale che si occupa di innovazione, ricerca e produzione.
Nel 1968, Spencer Silver, ricercatore capo alla 3M, era alla ricerca di un “super adesivo”. Con i suoi esperimenti, era riuscito a crearne uno che però aderiva alle superfici soltanto in maniera leggera, e che, per questo motivo, non trovò nessun uso pratico.
Diversi anni dopo, un collega di Spencer, Art Fry utilizzò quell’adesivo per risolvere un suo fastidioso problema: riuscire ad avere un piccolo pezzo di carta che aderisse ai fogli del suo libro degli Inni, da cantare la domenica in chiesa, così da trovarli più velocemente.
Dalla collaborazione, dalle competenze e dal pensiero creativo di Spencer Silver e Art Fry nacque quello che oggi conosciamo col nome di Post-it, sinonimo ormai di “promemoria” e “comunicazione”.
Per le organizzazioni, l’innovazione è fondamentale per affrontare l’imprevedibilità del mercato e le richieste dei clienti. E alla base dell’innovazione ci sono i processi creativi.
Quando ci troviamo di fronte a storie come quella di Spencer e Fry viene naturale chiedersi quale sia il segreto alla base della creatività: è appannaggio di pochi eletti? È frutto di casualità? O di impegno e tenacia?
Se la creatività in azienda è intesa come creazione di un nuovo prodotto, servizio, idea o procedura, allora non può che essere il frutto di sinergie – individuali e di gruppo– che lavorano insieme in un sistema complesso come un’azienda, all’intero della quale la creatività aiuta a risolvere i problemi e a fare connessioni originali per trovare soluzioni nuove.
Diverse discipline si sono occupate della creatività, a partire dalla pedagogia e dalla psicologia e, negli ultimi decenni, proficui sono stati gli studi in ambito sociologico, organizzativo e delle neuroscienze.
Edward De Bono – psicologo maltese e uno dei massimi studiosi del pensiero creativo – è stato colui che ha coniato l’espressione “pensiero laterale”, in contrapposizione a quello verticale.
Il pensiero verticale fa riferimento alla logica e alla razionalità, e si concentra sulla soluzione diretta e lineare (verticale, appunto) di un problema. Quello laterale tende a “scardinare” le convinzioni più radicate per trovare strade nuove e alternative.
Il pensiero laterale ci aiuta ad analizzare un problema o una situazione da punti di vista diversi, invece che da quelli più comodi e scontati.
Questo, però, non significa che il pensiero laterale escluda quello verticale, anzi!
Ma, se da un lato non possiamo fare a meno della logica, che attinge alle informazioni di cui siamo già in possesso e dalle esperienze pregresse, dall’altro possiamo sfruttare il pensiero creativo per avere una visione diversa rispetto alla solita cui molto spesso, anche inconsciamente, ricorriamo.
Tutto questo, però, richiede molto sforzo.
Nell’ambito delle neuroscienze, diverse ricerche hanno evidenziato come il nostro cervello sia piuttosto pigro: non ama cambiare e tende a irrigidirsi in schemi mentali che usa da sempre.
Così, senza accorgercene, tendiamo a muoverci sempre lungo lo stesso binario, ripetendo gli schemi che abbiamo usato in passato. Per questo motivo è più semplice accettare un’impostazione concettuale già completamente elaborata – da noi o da chi reputiamo degno di considerazione – piuttosto che forgiarne una nuova.
Questi binari, queste impostazioni, De Bono li chiama “idee dominanti”: ossia, idee che difendiamo contro ogni tentativo di cambiamento perché, con il tempo, sono diventate strettamente legate alla nostra identità.
Lo psicologo maltese individua nel “metodo dei sei cappelli” un modo pratico e concreto per facilitare il pensiero laterale in azienda.
Il metodo dei sei cappelli è stato adottato da molte aziende – tra cui la NTT in Giappone e l’IBM negli Stati Uniti d’America – ed è valido ed efficace sia se usato in gruppo sia usato da soli. Il metodo può essere usato per rendere più efficaci le riunioni di un team che non riesce a far evolvere un determinato progetto oppure individualmente quando siamo di fronte ad un momento di impasse dal quale non riusciamo ad uscire.
Con questo metodo si spinge a guardare ad un problema da sei punti di vista differenti, interpretando sei ruoli diversi, identificati dai famosi sei cappelli colorati.
Prima di cominciare ad usare il metodo dei sei cappelli è importante:
La tecnica segue delle regole precise e a ognuno dei sei cappelli è assegnato un colore.
Questo perché nella risoluzione di un problema, sia individuale che di gruppo, intervengono elementi come le emozioni, le informazioni, i dati oggettivi, la logica e le aspettative che rischiano di favorire le idee dominanti a scapito di quelle creative poiché sono difficili da gestire in un blocco unico.
Indossando un cappello alla volta, gli elementi vengono separati e questo permette di gestire la confusione senza eliminarne la complessità.
Con il suo colore neutro, riguarda i fatti e i dati oggettivi. Quando lo si indossa il pensatore non offre interpretazioni o pensieri personali ma solo fatti (e non credenze) che possono essere verificati e/o possibilmente supportati da numeri e percentuali. Al pensatore bianco verranno rivolte solo domande precise e specifiche al quale risponderà estrapolando dati come potrebbe fare un computer.
Che suggerisce passione, fornisce il punto di vista emotivo. Quando lo si indossa, si porta al gruppo o a se stessi, con sincerità, tutte le sfumature delle emozioni, dalla rabbia, alla gioia, alla paura. Al contrario del cappello bianco, qui si parla il linguaggio delle emozioni che come sappiamo non sono necessariamente logiche e coerenti. Quando si indossa il cappello rosso la maggior difficoltà è resistere alla tentazione di giustificare le emozioni che si esprimono. È importate esprimerle e basta. Quando ci si cala nella parte del cappello rosso si diventa uno specchio per riflettere le emozioni nella loro complessità, senza giudizio.
Cupo, delimita il ruolo del pessimista, di chi sottolinea i lati negativi di una situazione o l’impossibilità della sua attuazione. Quando si indossa il cappello nero si spiega perché una cosa non potrà funzionare, si mettono in luce rischi e pericoli o le lacune di un progetto. Il capello nero non è solo pessimismo o sensazioni negative sul passato (che invece afferisco più alla sfera emotiva del cappello rosso), ma la concreta valutazione di possibili errori o fallimenti anche in base alle considerazioni delle esperienze passate.
Solare e positivo, è quello dell’ottimista e comprende la speranza e i pensieri positivi. Fa parte del pensatore giallo esplorare i sogni, le fantasie e le speranze. Non ha che fare con la pura euforia ottimistica (appannaggio più del cappello rosso), né ha un legame diretto con la produzione di nuove idee (che è parte del cappello verde come vedremo dopo). Il cappello giallo è costruttivo e propositivo.
Che evoca la fertile immagine di una rigogliosa vegetazione, ci autorizza a lasciarci andare alla creatività e alla ricerca di alternative. È necessario andare oltre ciò che è noto, ovvio e soddisfacente ed attivare il pensiero laterale per non soccombere nella pigrizia delle “idee dominanti”. Inoltre, nell’indossare il cappello verde la nozione di giudizio lascia il posto al movimento, per cui il pensatore cerca di partire da una idea per raggiungerne una nuova.
E’ legato al controllo e all’organizzazione del pensiero. Chi lo indossa smette di pensare all’argomento/problema in discussione e si assume un ruolo di supervisione. Il cappello blu interviene con domande, si preoccupa di riassumere i risultati, riepilogare le conclusioni e tiene i tempi. In pratica, rende più produttivo e focalizzato l’intero processo.
Una volta comprese le caratteristiche di ogni cappello non basta far altro che immergersi nell’esperienza. Se si è in gruppo, ad esempio in una riunione per risolvere un determinato problema, ogni partecipante a turno o liberamente può esplicitare se quello che sta dicendo è dettato dall’indossare un cappello di un colore piuttosto che un altro. Potremmo prendere la parola nel gruppo dicendo che portiamo il punto di vista del cappello giallo o quello nero. Oppure, chiedere al collega di togliersi per un attimo il cappello rosso se ci accorgiamo che l’eccesso di emotività non facilità l’insorgere di idee nuove e più creative per la risoluzione del problema in oggetto.
La cosa importante è che con questo metodo si può chiedere agli altri (o a noi stessi) di adottare un certo modo di pensare, come se si trattasse di un gioco o di una parte da recitare, senza che queste richieste costituiscano una minaccia dell’Io o della personalità dell’altro.
Può succedere che dalla mappatura non esca nulla di convincente in quel momento, ma che emerga in seguito o che esca uno spunto interessante per qualcosa di completamente diverso dal problema iniziale.
Quello che è certo è che allenare il pensiero in questo modo ed entrare e uscire dai diversi ruoli aiuta ad andare oltre il proprio punto di vista e le proprie “idee dominanti”.
Cosa che era ben nota ai sofisti, che con l’uso dell’antilogia pronunciavano sia un discorso di difesa sia uno di accusa sulla medesima questione per allenarsi a gestire il relativismo delle conoscenze o migliorare la dialettica.
Chissà che colore avrebbero usato i sofisti per i loro cappelli!
Potrebbe interessarti anche La creatività come risposta alla richieste del nostro ambiente. Anche di lavoro.
De Bono, E. “Sei cappelli per pensare. Manuale pratico per ragionare con creatività ed efficacia”. Best BUR Rizzoli
De Bono, E. “Il pensiero laterale. Come produrre idee sempre nuove”. Best BUR Rizzoli