In una foto delle vacanze postata su Instagram, un’amica che incontro di rado appare fisicamente trasformata: un cambiamento non facile – immagino complimentandomi con lei – per una donna che ha superato i 40, una gravidanza e tanti anni con forme morbide ancorché senza complessi.
“Il vero risultato”, mi spiega, “è che ho smesso di stare male. Avevo sempre una morsa allo stomaco e non ne potevo più, soprattutto di sentirmi lamentare. Poiché devo sempre accompagnare mio figlio in piscina, un giorno ho preparato la borsa anche per me. Ho iniziato con il nuoto libero una volta a settimana, poi due, poi tre… e visto che lui fa agonistica tutti i giorni ho trovato un corso dal lunedì al venerdì e il sabato prendo lezioni di taekwondo”.
“Non dirmi che hai anche smesso di fumare?”, la incalzo.
“No, beh, non stavo così male!”.
Perché abolire i buoni propositi
Tre i motivi per cui ho scelto questa esperienza come “Manifesto per l’abolizione dei buoni propositi”. La mia amica:
- non si è messa a dieta un lunedì, non si è iscritta in piscina a gennaio, non ha iniziato pensando di andare tutti i giorni. Ha preso il costume ed è scesa in acqua quando ha sentito di dover fare qualcosa immediatamente. Voleva stare bene e non voleva più lamentarsi. Sentiva “nello stomaco” di essere sulla strada sbagliata e non ha aspettato il momento giusto, il corso giusto, il maestro giusto…
- non si è imposta un regime salutista controvoglia. Non approvo la sua scelta di continuare a fumare, ma per lei smettere non era la prima cosa funzionale a stare meglio. Spero che un giorno si decida, ma la sua nuova strada evidentemente non partiva da questo;
- non si è svegliata una mattina desiderando di rientrare nei jeans del liceo. Il suo nuovo percorso sportivo l’ha portata a questo, ma non era il suo obiettivo primario. Quando partiamo con il piede giusto otteniamo anche esternalità positive in grado di sorprenderci.
Gli effetti dei buoni propositi
E noi, quante volte ci siamo detti: “Da lunedì mi iscrivo in piscina!” e non lo abbiamo fatto? Oppure lo abbiamo fatto e abbiamo resistito una settimana? O siamo partiti andando tre volte la settimana e siamo finiti andando ogni tre? A volte abbiamo dato la colpa alla “mancanza di tempo”; altre volte abbiamo riconosciuto una “mancanza di volontà”, deprimendoci ancora di più. Probabilmente avremo poi rimesso la piscina (o qualche altro buon proposito) nella wish list successiva, per trovarci scornati qualche mese più tardi. La statistica dice che i buoni propositi innescano alcuni effetti che li rendono perversamente destinati al fallimento, ad esempio:
- Effetto Domino. Spesso, quando avvertiamo un desiderio di cambiamento lo trasformiamo in un proposito di rivoluzione. Con l’idea di occuparci di più del nostro benessere psicofisico arriviamo a stilare liste che spaventerebbero un giacobino: avviare una nuova attività sportiva, alzarci prima, metterci a dieta… E poi leggere più libri, uscire più spesso con gli amici, prendere un cane. Magari ci basterebbe fare a piedi un tratto dal lavoro a casa, invece allunghiamo la strada di un paio d’ore, magari affamati per aver mangiato poco e di pessimo umore per aver cercato di alzarci alle 5 a meditare. E una volta rientrati dovremo anche portare la bestiola all’area cani!
- Effetto Sergente. Non si capisce se sia un Grillo Parlante tarato male o una proiezione distorta di quanto ci circonda, fatto sta che i “buoni propositi” tendono a parlare con l’imperativo “devi” anziché con l’indicativo “voglio”. Questo non li rende affatto appetibili a quella parte di noi che recalcitra davanti agli ordini, anche se siamo noi stessi a darceli.
- Effetto Forward. La listona di inizio anno (o di rientro dalle vacanze) tipicamente prevede:
-
- fare sport
- dimagrire tot chili
- fare corso di origami
- altre inconsuete attività.
Queste voci ci proiettano verso il risultato e in effetti la giusta “vision” può darci la carica giusta. Per certi versi, però, finiamo per pensare che il risultato sia già lì ad aspettarci bello e pronto, mentre il percorso per raggiungerlo richiede tempo e applicazione, per innescare le abitudini giuste e apprendere le competenze necessarie.
- Effetto Nebbia. Sempre la lista che abbiamo visto tende a essere generica ed esagerata. Così il buon proposito finisce per cristallizzare un ideale e paralizzarci: da un lato, non riusciamo a sentire “declinato per noi” lo scopo che ci prefiggiamo; dall’altro, complice anche l’effetto Forward, una voce monolitica da spuntare non ci dà di per sé indicazioni rispetto alla direzione e ai passi da intraprendere.
- Effetto Natale. Avete presente quel momento di trepidante attesa che si prova a Natale qualche minuto prima che si apra la porta e l’orda di parenti ci invada la casa con chiacchiere e abbuffate? Ecco, i buoni propositi nascono nei “momenti di trepidante attesa”, solo che poi la vita è piena di “parenti” e giornate travolgenti. Sono tipicamente momenti di cambiamento – la fine dell’anno solare, la fine dell’anno scolastico, la fine delle vacanze – in cui il nostro carico emotivo è già forte e dobbiamo lenire il senso di attesa e gli interrogativi sul futuro. Così, non sapendo esattamente che cosa accadrà (ma questo a ben vedere non lo sappiamo nemmeno un minuto per l’altro) ed essendo un nuovo anno difficile da immaginare, riempiamo quel grande punto interrogativo con cose che non abbiamo ancora fatto. In realtà, soprattutto per chi lavora, quel tempo sarà in buona parte già riempito e forse l’obiettivo non dovrebbe essere quello di farcirlo come il tacchino
Sensazioni
Ora che abbiamo visto gli effetti, proviamo a riscoprire gli “affetti”. Poiché quelli che si chiamano “buoni propositi” altro non sono che desideri di cambiamento, dobbiamo entrare nella sfera dei sentimenti che li guidano, perché con essi la razionalità ha poco a che fare.
- Paura. L’effetto Domino e l’effetto Nebbia sono un innesco potentissimo per la paura generata da tutti i cambiamenti. È un meccanismo di difesa atavico governato dall’amigdala, una delle parti più antiche del nostro cervello. Ne parla mirabilmente in Un piccolo passo può cambiarti la vita Robert Maurer, che da psicologo racconta come spessissimo si sia trovato a dover affrontare persone bloccate di fronte al “pensiero del cambiamento” più che davanti al cambiamento in sé.
- Infelicità. Quando ci imponiamo qualcosa difficilmente possiamo essere felici. Può essere anche il principio più sano al mondo, ma stiamo comunque facendo qualcosa controvoglia. L’effetto Sergente suscita in noi quel misto di rivalsa e tristezza che mai ci convincerà ad agire con convinzione e perseveranza.
- Dubbio. È ciò che cerchiamo di mettere a tacere con l’effetto Forward e l’effetto Natale, immaginandoci già a risultato ottenuto con la felicità di chi aspetta una sorpresa. Così, però, generiamo aspettative che sembrano acuire i nostri dubbi.
Le 3 P (di Paradigma)
Dunque, dobbiamo immaginare una vita senza progettualità per evitare tutto questo? La risposta ovviamente è no: basta cambiare paradigma e introdurre quello delle 3 P.
- Perseguire. Tutti abbiamo bisogno di impegnarci in qualcosa che ci piace. Quando troviamo il nostro scopo, cominciamo a perseguirlo subito, senza metterlo nella lista dei “farò” con qualcos’altro di meno importante. La mia amica ha avviato il cambiamento quando lo ha sentito come un bisogno primario da soddisfare.
- Perseverare. Generiamo un’abitudine, un passo alla volta, andando sempre avanti. Vogliamo giocare a pallone? Facciamo un minuto di palleggi al giorno. Vogliamo imparare a cucire? Prendiamo un tutorial di base su Youtube e ripassiamo un bottone ogni sera. Dedicare con costanza poco tempo a una cosa significa lasciare poco spazio alle scuse, soprattutto al “non ho tempo”. La mia amica ha scelto la piscina per comodità, anche questo conta. Certo, se vogliamo diventare scalatori prima o poi dovremo arrivare in montagna, ma possiamo svolgere a casa parte della preparazione.
- Portare a termine. Ci vuole almeno un mese, meglio due, per generare l’automatismo di un’abitudine. Per questo è bene concentrarsi su un cambiamento alla volta e iniziare qualcosa di nuovo solo quando la novità precedente sarà ben collocata nel nostro quotidiano e avrà smesso di essere “strana”. L’abitudine a prendere buone abitudini genererà un circolo virtuoso, così come la costanza della mia amica nell’andare in piscina le ha tolto peso dalla pancia oltre che dallo stomaco.
Un nuovo piccolo passo
La differenza fra degli sterili buoni propositi e una pratica virtuosa è la volontà di stare bene, senza la quale nessun proposito sarà mai abbastanza buono. Un bambino lasciato libero di giocare fa spontaneamente le cose che gli piacciono senza una lista da consultare. Poiché il cervello adulto si basa su meccanismi un po’ diversi, aggiungiamo un timer alla spontaneità del nostro sentire e dedichiamo ogni giorno almeno 5 minuti all’attività che abbiamo in mente. Spesso immaginiamo di dover dedicare a qualcosa tanto tempo per ottenere soddisfazione, ma non è detto che questa arrivi solamente con prestazioni agonistiche. Permettiamo alla costanza di generare la necessità di fare quella cosa (se ci piace troveremo sicuramente il tempo) oppure la volontà di abbandonarla perché non fa per noi, non con il rimpianto di “non avere avuto tempo”.
Ti consigliamo anche Time management. Gestire (meglio) il nostro tempo e vivere felici.
Bibliografia
Babauta, Leo Abitudini, Zen Habits (2016)
Faggion, Daniela Tutto a posto!, Morellini (2018)
Maurer, Robert Un piccolo passo può cambiarti la vita, Vallardi (2013)
Daniela Faggion - Guest Contributor