Una ricerca pubblicata su Harvard Business Review lo scorso dicembre, ci dice che le donne si rivelano leader migliori durante le situazioni di crisi, nelle quali sono strategiche proprio quelle abilità interpersonali, come la capacità di motivare, ispirare, comunicare e collaborare, che risultano presenti più frequentemente – appunto – nelle donne.
Parallelamente, sono le leader a dimostrare maggiore attenzione verso le preoccupazioni dei colleghi e delle colleghe, riuscendo ad essere sensibili e comprensive verso stress, ansia e frustrazione. In situazioni di crisi, pertanto, la leadership al femminile sembrerebbe essere la più funzionale.
Eppure a uno sguardo più attento i nodi vengono al pettine.
Molte aziende stanno affrontando la questione di genere sensibilizzando all’inclusione e alle pari opportunità, dimostrando quanto sia necessario agire su questi fronti. Tuttavia, la dialettica rimane spesso ancora tra maschile e femminile, rischiando di limitare la questione di genere a questa dicotomia: il femminile finisce inevitabilmente per coincidere con le donne e il maschile con gli uomini. Se ci fosse una via alternativa?
Ogni persona si caratterizza per parti diverse di sé, che convivono, si scontrano, si integrano: qualcuno le chiama archetipi e qualcun altro, energie. Tra queste, troviamo l’archetipo femminile e quello maschile, la cui distinzione va al di là del valore biologico, sessuale o di genere. La filosofia orientale ci insegna, infatti, che ciascuna di queste parti o energia è la faccia di una stessa medaglia. Nessuna delle due parti è più o meno importante, entrambe sono invece necessarie per l’equilibrio. Ecco allora che idealmente, in ognuno e ognuna di noi, dovrebbero convivere parti maschili e parti femminili e trovare relativa espressione all’esterno.
Allo stesso modo, si può pensare alla leadership. Anche in essa, infatti, è necessario l’equilibrio tra le diverse inclinazioni, specialmente tra quelle maschili di forza, determinazione e logica e quelle femminili di sensibilità, contatto con le emozioni e comprensione. Inclinazioni che, come già detto, non sono da intendersi correlate al genere. Un uomo può avere uno stile di leadership femminile, come una donna può avere uno stile di leadership maschile, esattamente come esistono gli stili democratico, visionario o autoritario di Goleman.
Sì e no allo stesso tempo. Esiste uno stile di leadership femminile, mentre, a ben guardare, non esiste, o meglio, non dovrebbe esistere, una leadership al femminile. Parlare di leadership al femminile, infatti, rischia di dare per scontato che ci siano aspetti, come l’empatia e la cura, tipicamente femminili, questa volta in senso di genere. Perché tuttavia una donna deve essere necessariamente empatica? Perché deve necessariamente voler prendersi cura?
Questo meccanismo porta a polarizzare ancora di più le differenze, esasperando la presenza di tutte quelle capacità considerate femminili nelle donne e, parallelamente, di tutte quelle capacità considerate maschili negli uomini. Le conseguenze di ciò sono duplici. Da un lato si crea una profezia che si auto avvera e che si alimenta, non offrendo alle donne occasioni per sviluppare le competenze di stile maschile e agli uomini quelle di stile femminile. Dall’altro lato, si finisce con il creare modelli di leadership chiusi nella dicotomia di genere, senza possibilità di uscirne. In entrambi i casi il risultato è il medesimo: non si gioca a favore né delle donne né degli uomini.
L’invito per superare questo impasse, è quello di spostarsi verso una dimensione più fluida del concetto di leadership. Una dimensione integrata e armonica, che prenda il meglio dello stile femminile, maschile, autoritario, visionario, permissivo, delegante e così via. Che si adatti al contesto, allo scenario, all’incertezza e che guardi al leader come persona.
Esattamente come è necessario superare le differenze di genere, arrivando a vedere la persona in quanto tale, così è necessario fare con la leadership, considerando la o il leader in quanto leader.
Ecco allora che momenti di sensibilizzazione e formazione in azienda possono fare la differenza. Lavorare a modelli di leadership calati sulla propria realtà aziendale e sulle proprie persone può essere un passo fondamentale, che permette altresì di non dare risposte preconfezionate, ma di costruirne di proprie, offrendo spazi di ascolto e momenti di condivisione per tutti coloro che hanno ruoli di responsabilità.
Lo stesso, può essere fatto nel momento della selezione, andando a prediligere quei tratti che, a prescindere dal genere, si sono ritenuti strategici per la leadership nella propria azienda.
Qualsiasi iniziativa verso una leadership inclusiva, richiede tuttavia una cultura organizzativa sensibile e pronta. E’ necessario pertanto un lavoro ai fianchi, che permetta, come primo passo, di superare le differenze di genere e promuovere un ambiente di lavoro inclusivo di tutte le possibili normalità. Un ambiente dove donna-manager non sia (ancora) una contraddizione in termini.
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Daniel Goleman, Essere leader. BUR.