Negli Stati Uniti la chiamano “Zoom fatigue”, ossia la stanchezza causata da Zoom (dove ovviamente vi è il riferimento alla nota piattaforma tecnologica per le videocall), o strumenti equivalenti, e sta diventando una vera sindrome!
La pandemia in questi ultimi mesi non solo ha spinto la tecnologia in nuovi scenari della nostra vita quotidiana, ma ha anche costretto le persone a imparare a usarla. Le persone che non avevano mai provato Zoom, FaceTime o Google Meet prima di marzo sono diventate utenti esperti in tempi da record!
“La stanchezza da Zoom è uno stress che emerge quando le persone partecipano a riunioni in videoconferenza per un periodo di tempo prolungato e si verifica perché interagire in gruppo tramite un video è molto diverso dall’incontrarsi di persona come avviene nella quotidianità lavorativa”, afferma Savitri Dixon-Saxon, Ph.D., Vice rettore del College of Social and Behavioral Sciences della Walden University.
La possibilità di videochiamare è stata ed è una risorsa importante in questo periodo storico, ma facciamo molta più fatica a elaborare i segnali non verbali, come ad esempio le espressioni facciali, il linguaggio del corpo e il tono della voce.
Per esempio, le pause e i momenti di silenzio, fisiologici nelle normali conversazioni, ci portano spesso ad agitarci e a dubitare della tecnologia chiedendoci ad esempio se possa essere saltata la comunicazione, che a volte si interrompe veramente, provocando fastidiose interruzioni nell’interazione e rendendo difficile ricostruire i diversi passaggi.
Inoltre, le persone si sentono come se dovessero fare più sforzo per apparire interessate e, in assenza di molti segnali non verbali, l’intensa concentrazione sulle parole e il contatto visivo prolungato è estenuante.
Il nostro cervello si trova prima di tutto a dover integrare due informazioni contrastanti: sono solo in questa stanza eppure sono in contatto visivo con i miei colleghi (che fino a qualche tempo fa incontravo tutti i giorni in ufficio) che sono fisicamente in altri luoghi. Tutto ciò è innaturale.
Ma vediamo nel dettaglio:
I nostri atteggiamenti e le nostre emozioni sono in gran parte trasmessi da segnali non verbali come le espressioni facciali, il tono della voce, i gesti, la postura e la distanza tra i comunicatori. In una riunione faccia a faccia, elaboriamo questi segnali in gran parte automaticamente e possiamo comunque ascoltare l’oratore allo stesso tempo. Ma in una videoconferenza dobbiamo lavorare di più per captare ed elaborare i segnali non verbali, con un dispendio di energia notevole.
L’attenzione alle parole deve rimanere altissima e altissimo è il rischio di “perdere” l’altro o di essere interrotti anche solo per la connessione insufficiente o perché c’è una chiamata in entrata.
Ci sentiamo in ansia per l’immagine del nostro “spazio di lavoro” e per gli eventi che potrebbero farci imbarazzare davanti ai nostri colleghi. Il pensiero è che cani, bambini e altre persone non interrompano le nostre videochiamate presentandosi inaspettatamente. È pertanto estenuante seguire la video riunione e monitorare l’ambiente circostante.
Nella vita aziendale trasferirsi nella sala riunioni appunto per effettuare le riunioni di lavoro ha di per se aspetti positivi. Per esempio, lungo il tragitto incontriamo il collega per fare due chiacchiere lavorative o extra lavorative, magari riusciamo a prenderci un caffè, facciamo due passi in attesa di entrare, tutte attività energizzanti e se vogliamo creative che ci distaccano dall’alienamento lavorativo. Ma a casa non abbiamo tutti questi rituali e spesso entriamo in video riunione appena completato un compito e senza fare neanche una piccola pausa.
L’ambiente fisico funge da “impalcatura cognitiva” – attribuiamo determinati significati alle sale riunioni – e questo cambia sottilmente il nostro comportamento e il nostro benessere. Ciò può includere ancoraggi ad argomenti importanti come la creatività e la risoluzione dei problemi.
La ricerca mostra che quando siamo in videochiamata, ci guardiamo la maggior parte del tempo mentre lavoriamo duramente per prestare attenzione agli altri. E’ evidente che c’è troppa stimolazione visiva e un dispendio notevole di energia.
Il silenzio nella conversazione nella vita reale è importante e crea un ritmo naturale. Ma in una videochiamata, il silenzio ci rende ansiosi: anche un ritardo di 1,2 secondi nella risposta online ha fatto sì che le persone percepissero la persona che parlava come meno amichevole o concentrata.
Inoltre, la frustrazione per le persone che accendono e spengono i microfoni, le connessioni in ritardo e il rumore di fondo rendono la riunione raramente fluida.
Con le previsioni che il nuovo posto di lavoro “normale” sarà molto diverso da quello vecchio, sembra che Zoom e tutte le piattaforme di videoconferenza debbano ancora supportarci per un bel po’. Tuttavia ci sono una serie di passaggi che possiamo intraprendere per ridurre gli effetti negativi delle riunioni video online.
Le distrazioni ambientali che causano “stanchezza da Zoom” si presentano in tre forme: esterne, ergonomiche e tecniche.
Possiamo ridurre al minimo le distrazioni ambientali che causano la “stanchezza da Zoom” considerando quanto segue:
Zoom Fatigue è una sfida mentale e fisica. Non dimenticare di dedicare almeno qualche minuto al giorno al tuo corpo e al tuo spirito, specialmente quando hai in programma videoriunioni.
Ecco alcune cose da considerare durante le sessioni video:
Mi piace concludere l’articolo con un tweet di Gianpiero Petriglieri, professore di management all’INSEAD che riassume la sfida umana di questi ultimi mesi: “Oggi ho parlato con un vecchio amico terapista e finalmente ho capito perché tutti sono così esausti dopo le videoriunioni. È la plausibile negabilità dell’assenza reciproca. Le nostre menti ingannano l’idea di stare insieme quando i nostri corpi sentono che non lo siamo. La dissonanza è estenuante.”
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Why Do We Suffer From Zoom Fatigue? It’s All About The Sound, Forbes
Here’s Why You’re Feeling Zoom Fatigue, Forbes
A Psychological Exploration of Zoom Fatigue, Psychiatric Times