“Frida Kahlo è stata una pittrice eccezionale”; “Stephen Hawking è stato uno dei fisici più autorevoli nel mondo”; “Bocelli è tra i miglior tenori di tutti i tempi”; “Temple Grandin è una grande attivista per la tutela dei diritti degli animali”.
Siete d’accordo? E se vi dicessimo che la prima aveva avuto probabilmente la spina bifida che le aveva causato una dismetria della gamba destra, il secondo era un malato di Sla, il terzo, come è noto, ha avuto un glaucoma congenito che lo ha portato alla cecità e l’ultima ha una diagnosi di autismo, il vostro pensiero riguardo ai loro successi cambierebbe?
Si può essere una persona con una disabilità e al tempo stesso un lavoratore stimato?
Secondo la convenzione ONU, si definiscono le persone con disabilità coloro che mostrano permanenti menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali, che possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società, su una base di eguaglianza con gli altri individui.
Grazie alla Legge 68, si è andati incontro ad un vero e proprio cambiamento culturale. Si è garantito alla persona con disabilità, il diritto all’inserimento lavorativo attraverso servizi di collocamento mirato e di sostegno, promuovendo una società basata sull’integrazione e sulla valorizzazione di ciascun individuo.
Il rapido avanzamento delle tecnologie ha permesso inoltre la collocazione delle persone disabili in contesti prima mai immaginati (pensiamo all’invenzione della tastiera braille per computer pensata per le persone ipovedenti).
Sfortunatamente, ad oggi risultano ancora troppo poche le persone con disabilità impiegate in un contesto lavorativo, comportando un danno a livello economico e, soprattutto, a livello psicologico.
Troppo spesso si associa alla disabilità il concetto di improduttività, che ritiene che una persona disabile non possa portare un vantaggio all’azienda.
Gli esempi che vi abbiamo citato sono solo alcuni degli uomini e delle donne della storia che, nonostante la loro disabilità, sono riusciti a raggiungere grandi risultati. Ciò conferma come l’inserimento sia non solo possibile, ma anche auspicabile per la realizzazione di obiettivi sempre più significativi.
L’inserimento in azienda di una persona con disabilità non accresce infatti solo dal punto di vista umano, ma permette di creare un gruppo eterogeneo di persone, portato a ragionare in modi diversi e oltre gli schemi mentali, garantendo così una maggiore produttività.
L’inserimento ovviamente deve essere mirato, ossia finalizzato a far emergere le capacità e le possibilità di ciascuna persona, valorizzando così la propria work-ability. Sebbene infatti molte persone disabili siano in grado di lavorare, molte di loro abbandonano il loro lavoro prematuramente a causa di una valutazione poco realistica del proprio stato di salute, da parte di se stessi ma anche da parte del proprio datore di lavoro.
Spesso una malattia, soprattutto se non presente fin dalla nascita, causa una frattura biografica rispetto a chi ci sentiamo e chi vorremmo essere.
Tuttavia, la nostra identità è costituita da un insieme sfaccettato di fattori che determinano la persona che siamo, e non solo dalla nostra malattia.
Essere consapevoli delle proprie capacità e dei propri interessi è il primo passo per raggiungere chi vogliamo essere in questa società, ricoprendo anche il ruolo di lavoratore attivo e di collega stimato.
In psicologia di parla di autoefficacia, ossia quanto ci sentiamo in grado di padroneggiare un dato evento. Più ci sentiamo efficaci nella nostra attività lavorativa, più aumenteremo il senso di controllo su una patologia con la quale ci siamo abituati a convivere.
Nel nostro sistema limbico, la nostra cabina di pilotaggio per la gestione delle emozioni, troviamo un sistema motivazionale basato sulla cooperazione. Non siamo fatti per stare soli e soprattutto siamo fatti per collaborare insieme per il raggiungimento di un obiettivo.
Ciò è molto presente in un clima aziendale, in cui a volte è solo la collaborazione in team che permette di giungere al risultato.
Permettiti quindi di chiedere aiuto al collega di scrivania nel momento in cui ti senti in difficoltà, sia rispetto ad un lavoro assegnato che ad una complicazione legata alla tua disabilità.
Chiedere aiuto ai colleghi non dovrebbe essere un comportamento specifico di una persona con disabilità, ma di tutte le persone che vogliono migliorare le proprie capacità lavorative e superare se stessi.
Ricorda che “nessuno nasce imparato”.
Spesso, le persone con disabilità riferiscono a noi psicologi di sentire la necessità di dover dimostrare il doppio rispetto ai colleghi senza disabilità.
Ciò spesso genera frustrazione e vissuti di rabbia nei confronti del collega meno zelante.
E’ utile riflettere se ciò ci viene chiesto dall’esterno o se noi stessi ci mettiamo nelle condizioni di essere più carichi lavorativamente, anche quando non vorremmo/non dovremmo, per avere la sensazione di dover tenere il passo con i colleghi.
Voler superare i propri limiti e migliorarsi sono sempre atteggiamenti graditi, ma non se questo va a discapito di una serenità mentale, che può poi tramutarsi in un abbandono del posto di lavoro o in un’infelicità lavorativa cronica.
Per quanto tu dal punto di vista umano, possa provare empatia per il collega con disabilità, il rischio è che tu possa pensare che quella persona sarà solo un peso per l’azienda, senza portare il proprio contributo e comportandoti una ricaduta sull’aumento del tuo carico di lavoro.
Come dicevamo, un collocamento mirato deve prevenire situazioni in cui la persona con disabilità si trovi a svolgere una mansione che vada al di là delle sue competenze. Pertanto, che il tuo collega abbia o meno una disabilità, ciò non inciderà sulla sua produttività.
Inoltre, secondo un’indagine condotta da AstraRicerche a Roma e promossa da Aism, Prioritalia e Manageritalia, avente per oggetto “disabilità e lavoro, la sfida dei manager”, il 65% dei manager intervistati riconosce come la presenza di persone con disabilità comporti delle ricadute positive su tutti i dipendenti e l’88,2% ritiene che la disability inclusion permetta agli stessi manager di migliorare le loro capacità di problem solving, di semplificare i processi e di valutare meglio il personale.
Due fattori che influenzano positivamente l’inclusione lavorativa di persone con disabilità sono la collaborazione da parte dei colleghi e l’adattamento del luogo di lavoro. L’occupazione lavorativa diventa un terreno fertile per lo scambio sociale, per il confronto e la crescita personale. Ciò avviene nel rispetto e nella stima dell’altro e nel saper cogliere i momenti di difficoltà che una persona possa incontrare, che siano essi causati da fattori esterni (la luce troppo forte, difficoltà di accesso agli spazi comuni) o a fattori interni (poca fiducia nel saper terminare una mansione assegnata).
Un collega empatico, intelligente emotivamente, permette un miglior clima lavorativo e una maggiore produzione, superando ogni tipo di discriminazione.
“Non vivo [la mia condizione] come una condanna, né come una punizione divina: è solo una piccola parte di me. Non sceglierei di rinascere senza la malattia perché i miei amici, le mie esperienze li ho vissuti così ed è grazie a questa condizione che sto diventando un ricercatore”.
Queste sono le parole di Sammy Basso, affetto da progeria, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Naturali con 110 e lode.
La grandezza delle persone con disabilità sta nella loro capacità di resilienza, concetto prestato dal mondo della fisica e affrontato da Primo Levi nel libro I sommersi e i salvati. Le persone resilienti che hanno imparato ad accettare e a convivere con la loro condizione di disabilità, mostrano di sapersi adattare di fronte alle sfide della vita e di avere la capacità di evolversi nonostante i fattori di rischio.
Nel collega con disabilità possiamo spesso apprezzare la forza interiore, l’ottimismo, la flessibilità di pensiero e la capacità di tenere duro di fronte alle difficoltà.
L’incontro con una persona che sa direzionare la propria vita, nonostante la situazione poco favorevole che gli è capitata, diventa pertanto un prezioso spunto di riflessione e di esempio per tutto il team di lavoro. Ciò permette di accrescere la propria determinazione e la propria tenacia nel saper conseguire un obiettivo, non soltanto in campo lavorativo, ma anche, e soprattutto, in campo personale.
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Concludiamo con le parole di Albert Einstein, trai più importanti fisici del XX secolo per il quale sono state ipotizzate a posteriori le diagnosi di Asperger, ADHD e di dislessia: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua capacità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.
Goleman D., Lavorare con intelligenza emotiva: Come inventare un nuovo rapporto con il lavoro. BUR
Roncallo C. e Sbolci M., Disability manager. Gestire la disabilità sul luogo di lavoro. FerrariSinibaldi
Tamaro S., Il tuo sguardo illumina il mondo. Solferino
Società Italiana Disability Manager