Conflitti sul lavoro. Riconoscerli e trasformarli in un’occasione di crescita (non solo personale).

“Vi posso assicurare che se due individui vanno sempre d’accordo su tutto, uno dei due sta pensando per entrambi”.

Sigmund Freud.

Che cosa sono i conflitti?

Si definisce come conflitto un’opposizione, un contrasto, una contesa tra scopi (tra cui interessi, valori, opinioni, bisogni) che vengono perseguiti da attori diversi (persone o gruppi di persone).

Già nel leggere questa definizione possiamo capire come i conflitti facciano parte della nostra quotidianità. In famiglia, a scuola, al lavoro, dove svolgiamo le nostre attività ricreative o di volontariato, dentro di noi: i conflitti si presentano di continuo.

I conflitti nel luogo di lavoro

I luoghi di lavoro possono essere teatro di conflitti che sfociano in insoddisfazioni, in uno stato di malessere, nella sfiducia, nella disaffezione e nel disimpegno delle persone verso il lavoro. Un ambiente in cui i conflitti vengono lasciati irrisolti può portare alla perdita di occasioni o contributi preziosi, va incontro ad un irrigidimento e spesso si associa ad una ridotta produttività.

Molti tendono quindi a identificare i conflitti come qualcosa di esclusivamente negativo. Tuttavia molte fasi di evoluzione nel corso della vita sono caratterizzate o precedute da conflitti. Se riconosciuti e gestiti adeguatamente, possono invece essere un’occasione di crescita e di ridefinizione della propria identità e del proprio ruolo, di cambiare il modo di rapportarsi con le persone e con l’ambiente che ci circonda, arrivando anche a cambiare il clima di un settore o dell’azienda.

Il tema dei conflitti e della loro trasformazione è un tema molto vasto, che è stato studiato approfonditamente da diverse figure come sociologi, antropologi, pedagogisti e psicologi. Qui vogliamo offrire alcuni spunti di riflessione rispetto al riconoscimento dei conflitti sui luoghi di lavoro.

Vi proponiamo quindi alcuni passi da cui cominciare

1. Distinguere i conflitti dai problemi.

Molti esperti di gestione dei conflitti ritengono che il conflitto possa essere visto come un aggregato tra un problema e un disagio (in particolare psicologico) che si verifica all’interno di una relazione tra individui. Quando il problema si associa a sensazioni, emozioni o sentimenti percepiti in una certa misura come spiacevoli o dolorosi siamo di fronte a una condizione di sofferenza e parliamo quindi di conflitto.

Se ad esempio mi trovo a correggere un documento di lavoro che ha ricevuto un feedback parzialmente negativo insieme a un collega, questa persona potrebbe dirmi che secondo lui/lei ci sono alcune parti che ho scritto da rivedere. Io, al contrario, penso che sia lui a dover aggiungere delle informazioni che rendano il documento più integrato con quello che ho scritto io. Questo è il problema a cui solitamente si cerca di dare una soluzione. A questo però si aggiunge magari anche il fatto che io provi frustrazione rispetto al feedback negativo e alla soluzione proposta dal collega, che mi costano tempo e fatica. Mi sento magari svalutata/o rispetto alle mie capacità e provo risentimento verso il collega perché reputo che stia cercando di incastrarmi a fare un lavoro che spetterebbe a lui.

Riconoscere questa differenza tra problemi e conflitti è un passo che sembra scontato ma è fondamentale per poter mettere in campo le risorse più utili alla loro risoluzione costruttiva. La domanda da porsi quindi è “mi sento a disagio in questa situazione?”

2. Saper stare nei conflitti significa saper stare costruttivamente nel disagio.

Se parliamo di conflitti come un aggregato tra problemi e disagio possiamo capire come mai spesso ci affrettiamo nel trovare una soluzione che ci “liberi” del problema perché questo ci libera velocemente dal disagio. Gestire costruttivamente i conflitti implica un approccio diverso. Perché per stare nei conflitti e trasformarli in qualcosa che porta ad un’evoluzione dobbiamo essere capaci di stare in modo costruttivo nel disagio, cambiando la nostra relazione con la sofferenza. Sì, perché noi, come la maggior parte degli esseri viventi tendiamo a evitare tutto ciò che può farci soffrire e a cercare ciò che ci procura piacere. Ad esempio ci può venire difficile dare o ricevere dei feedback negativi su un lavoro svolto e, nel timore di ferire qualcuno o di essere feriti a nostra volta, tendiamo a evitare il confronto.

Come gestire i conflitti?

Per gestire i conflitti in modo trasformativo dobbiamo imparare a riconoscere la sofferenza e a starci costruttivamente per un certo periodo di tempo. Questo non vuol dire né sopportare né rassegnarsi, ma accogliere la sofferenza e prendersene cura facendole spazio. Una metafora molto significativa paragona la sofferenza a un cucchiaio di sale. Se io lo verso dentro un bicchiere di acqua, renderà l’acqua imbevibile. Ma se io lo verso dentro una botte non mi accorgerò quasi che il sapore dell’acqua è cambiato.

Quando cerchiamo di liberarci frettolosamente della sofferenza, finiamo a cercare di gestire i problemi con il solo obiettivo di liberarci dell’altra componente. Nel nostro esempio sul feedback negativo, continuare a evitarlo può alimentare una condizione in cui si genera insoddisfazione. Questo perché il lavoro non viene svolto come ci si aspetta o perché dall’altro lato non si riesce a capire quali sono gli aspetti su cui lavorare. Le due componenti del conflitto infatti tendono ad alimentarsi a vicenda. I problemi alimentano il disagio e il disagio alimenta i problemi.

3. I tipi di conflitto.

Identificare il tipo di conflitto ci può aiutare a capire dove risiedono le criticità e quali sono le fonti di disagio, aiutandoci ad adottare le strategie più utili per alleviarlo ed avviarci ad una risoluzione del problema.

Un tipo particolare di conflitto è quando non ci sono due persone coinvolte ma parliamo di una persona che vive un conflitto interno. Riferire o non riferire al responsabile di una certa situazione difficile, proporre al cliente una certa opzione oppure un’altra, accettare una posizione lavorativa a delle condizioni che non convincono completamente. Le diverse soluzioni possono apparire tutte valide, ma la decisione ci crea una condizione di disagio.

I diversi tipi di conflitto interpersonale. 

Conflitti relazionali.

Possono esserci conflitti relazionali quando si scontrano due personalità diverse. Sul luogo di lavoro possiamo ad esempio distinguere persone che tendono maggiormente a stare all’interno della comfort zone e adottare approcci meno rischiosi possibile e chi invece è mosso da uno spirito più intraprendente e più orientato al rischio. Tra personalità diverse possono esserci incomprensioni e giudizi di fondo (“è un codardo” oppure “è uno scapestrato”) che alimentano i conflitti o generarsi più facilmente problemi perché le soluzioni adottate davanti a un problema tenderanno a essere differenti.

Tra ruoli.

Possono esserci conflitti tra ruoli, ad esempio tra manager e risorse assegnate al team oppure tra responsabili di diversi settori rispetto ai compiti che spettano a ciascuno. Oppure rispetto a quale debba essere l’obiettivo da perseguire in una determinata situazione.

Tra me stesso e il mio ruolo.

Ci possono essere conflitti tra la persona e il ruolo (ad esempio mi trovo a gestire delle risorse ma non mi sento pronto ad assumere un ruolo di leadership). Oppure conflitti tra aspetti diversi dello stesso ruolo. Pensiamo ad esempio un consulente di banca che si trova a gestire le aspettative del cliente di ricevere un’offerta conveniente e quelle della banca che deve generare utile.

Conflitti di potere.

Vi possono essere conflitti di potere, quando due persone o gruppi tra cui non c’è una gerarchia definita si scontrano su qualcosa per affermare la loro superiorità rispetto all’altro. Pensiamo ad esempio a due dipendenti uno con più anni di esperienza nel ruolo e uno con maggiore formazione. Entrambi possono ritenere di avere maggiori competenze per guidare una decisione e spingere per assumere un ruolo predominante nel gruppo di lavoro.

Conflitti di valori.

Ci sono poi conflitti che riguardano i valori, che possono essere quelli più difficili da trasformare perché vanno a toccare aspetti profondi delle persone. I valori vengono sentiti spesso come qualcosa che riguarda la nostra identità e quindi sono più difficili da lasciare andare.

4. Imparare a riconoscere i modi di stare nei conflitti.

Secondo alcuni studiosi, davanti a un conflitto i comportamenti delle persone possono essere ricondotti a 5 macro-categorie. Ognuno di noi ha delle categorie “preferenziali” ma è possibile che contesti o relazioni diverse elicitino comportamenti radicalmente diversi.

Mi impongo.

E’ una strategia veloce, che permette di risolvere velocemente una situazione ed uscire ad esempio dagli impasse. Un leader o una risorsa sanno che delle volte, se si è in una situazione che può avere ripercussioni significative, è necessario assumersi la responsabilità di proposte o decisioni che magari non sono condivise da tutti. Tuttavia, ha lo svantaggio di isolare chi la utilizza frequentemente, di non favorire il dialogo e l’arricchimento, di aumentare il malcontento. Ad esempio molti leader inesperti tendono ad usare questa strategia per esprimere fermezza e forza, trovandosi poi a fare i conti con una squadra poco motivata o che non collabora.

Mi adeguo.

E’ anch’essa una strategia veloce ed è in qualche modo complementare alla prima strategia. Chi si adegua a volte rappresenta la disponibilità ad ascoltare ed essere aperti alle proposte o alle soluzioni degli altri, oppure la capacità di attendere un cambiamento o una negoziazione successiva. Adeguarsi riduce i rischi di esporsi (delegando la responsabilità a coloro che si impongono) e blocca le escalation di violenza nelle interazioni. D’altro canto però questa strategia, se applicata frequentemente, può portare la persona ad avere scarsa stima di sé, a sentirsi inascoltato o ignorato. Può inoltre impoverire l’azienda o il team di un contributo importante verso soluzioni efficaci. Può promuovere delle dinamiche in cui le persone delegano tutto senza assumersi responsabilità e senza cooperare, spegnendo il pensiero critico.

Fuggo.

E’ una strategia che può essere utilizzata nelle situazioni in cui serve raffreddare e calmare emozioni intense che non permettono di relazionarsi in maniera costruttiva. Può servire a dare spazio a qualcuno che è in difficoltà in un certo momento o a dare spazio a me stesso se sono in un momento in cui non mi sento di affrontare il conflitto. Quando però questa strategia viene usata ripetutamente può generare malcontenti e insoddisfazioni che non trovano lo spazio di un chiarimento. L’altra parte può sentirsi disorientata o trascurata mentre chi la utilizza può rimanere intrappolato nella paura e nell’evitamento. Questo può creare a lungo andare problemi ulteriori, che servono a manifestare il disagio di fondo che però non trova mai una risoluzione, arrivando in ultimo a un deterioramento dei rapporti.

Cerco un compromesso.

E’ una strategia che cerca di soddisfare tutte le parti in gioco, dando la possibilità (o richiedendo) alle persone presenti di essere attive nel processo. Seguire questa strada esprime ascolto e rispetto e rappresenta un primo passo verso la cooperazione (di cui parleremo poco più avanti). Dall’altro lato però bisogna tenere presente che, a volte, la soluzione raggiunta può lasciare tutti parzialmente insoddisfatti (lose-lose anziché win-win situation). Essendo una strategia che richiede tempo per formulare una risoluzione e anche la disponibilità di entrambe le parti, non sempre ci sono le condizioni per praticarla.

Coopero.

E’ la strategia che richiede più tempo di tutte ma che può portare al maggior grado di soddisfazione tra le parti. Come nel caso precedente permette a tutti di partecipare alla risoluzione, giocando un ruolo attivo. In questa strategia si riflettono l’ascolto e il rispetto per se stessi e per gli altri e il desiderio di proteggere la relazione con gli altri. Per renderla possibile tuttavia, dobbiamo conoscere bene noi stessi e le altre persone e dobbiamo aver creato una condizione di fiducia reciproca, oltre a delle buone capacità di comunicare. Cooperare richiede di sviluppare competenze specifiche sia dal punto di vista relazionale che tecnico.

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Conclusioni

Adottare un atteggiamento più consapevole rispetto ai conflitti può aiutarci a cambiare il clima all’interno di un team o di un’azienda e rendere i rapporti più piacevoli e costruttivi. Questo approccio richiede tempo ed energie, che non sempre, in un mondo frenetico e che richiede spesso risposte rapide, si è disposti o si pensa di riuscire ad investire.

I metodi di gestione non violenta dei conflitti possono nel lungo termine aumentare il benessere percepito, migliorando la produttività e la capacità delle persone e dei gruppi di generare soluzioni creative non solo davanti ai conflitti ma in generale nel lavoro.

Bibliografia

E. Arielli e G. Scotto, I conflitti. Introduzione a una teoria generale. Bruno Mondadori.

D. Goleman, Intelligenza Emotiva. Feltrinelli.

Building Peace: Sustainable Reconciliation in Divided Societies, John Paul Lederach, U.S. Institute of Peace, 1997.

M. Mas Solé, La gestione positive dei conflitti interpersonali. Ciessevi.

D. Novara, La grammatica dei conflitti. Sonda.

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