Con le nuove misure restrittive per limitare l’epidemia da Covid-19, ci sono state imposte nuove regole che limitano la socialità e la possibilità di svolgere alcune attività. Sebbene queste misure siano state stabilite per evitare un nuovo lockdown, in molti sta riaffiorando il ricordo del periodo di isolamento sociale cui siamo stati sottoposti tra Marzo e Maggio di quest’anno, per limitare la diffusione del virus. In seguito a ciò, la paura di un nuovo lockdown e degli effetti associati a tale limitazione, sono sempre più un vissuto condiviso da molte persone. Con il riaffiorare del ricordo del lockdown, emergono sia le problematiche affrontate, con le emozioni connesse, sia le proprie strategie di adattamento.
Dai risultati di un’indagine nazionale condotta dal CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi), risulta che 7 italiani su 10 abbiano riscontrato un peggioramento del livello di disagio psicologico, soprattutto tra le persone di età compresa tra i 35 e i 54 anni. Gli italiani hanno riscontrato i seguenti disagi:
Solo il 28% ha dichiarato di non aver sperimentato nessun disagio.
Uno studio Doxa, promosso da Mindwork, per indagare il livello di benessere psicologico dei lavoratori delle aziende italiane (attraverso la somministrazione di interviste online ad un campione di 300 lavoratori dipendenti di aziende private) ha rilevato che il 25% dei lavoratori ha sviluppato durante il lockdown disturbi di ansia e/o del sonno legati al lavoro, che prima non aveva mai o quasi mai. Nel campione preso in esame, tra coloro che hanno smesso di recarsi in azienda, le principali preoccupazioni relative al rientro in azienda sono relative al rischio di contagio in ufficio e alle difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia. Lo studio ha dunque rilevato che a preoccupare sono, non solo gli effetti diretti del Covid-19, ma anche gli effetti collaterali e indiretti (incertezza lavorativa per il 43% dei lavoratori e paura del contagio per il 57% dei lavoratori).
L’emozione più frequentemente associata al pensiero di un nuovo lockdown è dunque la paura. Questa paura nasce dal ricordo di una situazione spiacevole, quella del lockdown di marzo-maggio, già vissuta e di conseguenza codificata dalla nostra mente come pericolosa per il benessere individuale. Tale paura è sicuramente amplificata dalla comunicazione impressionistica di alcuni mezzi di informazione. Il bombardamento di informazioni e la campagna di sensibilizzazione messa in atto dal governo per richiamare ciascuno alla responsabilità individuale e al rispetto delle norme ha avuto come effetto collaterale il diffondersi di sintomi ansioso-depressivi.
Questo momento storico, ci spinge dunque a confrontarci da vicino con un’emozione generalmente associata a qualcosa di negativo, un nemico da combattere. Ma che cos’è la paura e a cosa serve? “La paura è un’emozione di base che serve come difesa, provocata da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia.
“La paura è spesso accompagnata da una reazione organica, di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza, disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta e fuga” (Galimberti U., 2006). Questa emozione ha dunque un importantissimo valore adattivo, ovvero utile alla sopravvivenza individuale e della specie. E’ un segnale emotivo che viene lanciato dal sistema limbico, utile a riconoscere i pericoli e le minacce reali o potenziali ed attivare di conseguenza le risorse dell’individuo utili ad affrontarlo. Senza la paura, non riconosceremmo ciò che può potenzialmente nuocerci e vi andremmo incontro inermi. Utilizzando la paura come emozione che guida, in modo appropriato alla minaccia, il nostro comportamento, possiamo metterci in salvo ed imparare ad evitare pericoli futuri. Utilizzare la paura come bussola che orienta il nostro comportamento, significa farne un uso funzionale ed adattivo per la nostra sopravvivenza.
L’uso adattivo della paura, si intreccia con un altro tema fondamentale, quello della percezione del rischio. La percezione del rischio è un processo cognitivo coinvolto in diverse attività quotidiane e che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che coinvolgono dei rischi potenziali. Tale percezione coinvolge diverse dimensioni come, per esempio, le conseguenze sia immediate sia future e le loro implicazioni tanto su un piano razionale ed oggettivo quanto su un piano emozionale e soggettivo. La ricerca ha sottolineato che in molti casi esiste una discrepanza tra la percezione soggettiva del rischio e la valutazione oggettiva (Slovic, 2001). In poche parole, capita che le persone a volte temano delle attività che non sono in realtà pericolose e non temano, invece, delle attività che potrebbero avere conseguenze molto drammatiche. Le ricerche in campo psicologico hanno mostrato che ci sono alcuni fattori che influenzano la percezione che le persone hanno della pericolosità di un’attività. Tra questi fattori ci sono i seguenti (Slovic, 1987):
Se il rischio è assunto volontariamente, viene percepito come meno grave. Il rischio di Covid-19, come di tutte le epidemie, non solo è involontario, è anche parzialmente controllabile da parte degli individui e difficile da controllare anche da parte delle autorità sanitarie e dei governi.
Un rischio insolito viene percepito come più spaventoso e il nuovo Coronavirus circolante in questi tempi è stato presentato come un virus sconosciuto, senza cure efficaci. Un rischio di origine naturale provoca meno paura e le teorie della cospirazione aumentano la sensazione di disagio e paura.
Un fattore di rischio invisibile viene percepito come più pericoloso di uno visibile (come nel caso dei virus).
Se si ha fiducia in chi gestisce il rischio, non lo si percepisce così alto. Nel caso di Covid-19, molti individui alzano la voce, anche in modo opportunistico, per minare la credibilità delle istituzioni sanitarie. Una volta persa la fiducia, è molto difficile riconquistarla. Le divergenze nella comunità scientifica in una situazione di emergenza possono avere effetti devastanti se non si ottiene un consenso. Le autorità pubbliche devono prestare particolare attenzione alla condivisione delle conoscenze, alla ricerca di alleanze nella società e alla costruzione della fiducia, che a sua volta ridurrebbe la paura.
La paura è quindi una caratteristica intrinseca di Covid-19, che non possiamo negare attraverso richiami a dominarla o sopprimerla. Così come non è evitabile che ci sia preoccupazione per la gestione di un problema così complesso. Cosa possiamo fare, tuttavia, per cercare di rendere il più realistica possibile la nostra percezione del rischio relativo al Covid-19? Come far sì che tale percezione e la paura associata al virus, diventino una bussola che orienta il nostro comportamento?
A lungo ci siamo ritenuti invincibili, protetti come siamo dallo sviluppo tecnologico e culturale che ci ha dato l’illusione di essere al riparo da eventi dolorosi come malattia e morte. In una società che ha evitato e combattuto la paura, ci troviamo a doverla riammettere nella nostra esperienza affettiva e farne un elogio. Tenendoci lontani dagli slogan propagandistici e dalle campagne di informazione impressionistiche, che rendono distorto e confuso il nostro rapporto con il reale, possiamo avvicinarci, grazie alla paura, ad una percezione del rischio il più realistica possibile.
Facciamoci quindi guidare dalla paura, da quella paura sana che ci ricorda l’importanza di non trascurare un nemico, anche se invisibile, e che ci ricorda quanto sia importante mantenerci in vita. Teniamoci lontani dalla ricerca ossessiva di controllo (consultando compulsivamente quotidiani, dati, statistiche, opinioni di esperti). Avviciniamoci quanto più possibile all’esperienza emotiva reale, filtrando con senso critico l’ondata di informazioni cui siamo passivamente sottoposti. Rimaniamo in contatto con le nostre emozioni, che non sono il nemico. Ricordiamo ciò che è stato e come siamo stati in grado di affrontarlo, per mobilitarci contro un rischio reale anche se invisibile.
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Galimberti U., Dizionario di psicologia, Roma, Gruppo editoriale L’Espresso, 2006, p. 19, volume terzo
Slovic, P. (1987) Perception of risk. Science, 236, 280-285.
Slovic, P. (2001). The Perception of Risk. London, UK: Earthscan Publications Ltd