L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma in realtà magia e bellezza sono in noi.
(Kahlil Gibran)
Le emozioni hanno un’importanza straordinaria nella vita umana. Sono la bussola che ci guida nel riconoscimento dei nostri bisogni e delle nostre scelte.
In questo articolo parleremo della gioia e della tristezza e come influenzano la nostra vita lavorativa. Per tutti la gioia è considerata come un’emozione positiva, mentre la tristezza come emozione negativa. In realtà scopriremo anche il lato oscuro della gioia quando è indispensabile per il ruolo svolto e il lato positivo della tristezza quando è manifestata. Ma vediamole nel dettaglio.
La gioia è certamente una delle emozioni più piacevoli da provare. La dimensione temporale è una delle caratteristiche proprie della gioia: è un’emozione improvvisa, di breve durata e legata a una forte attivazione immediata che investe tutta la fisiologia del nostro corpo.
É un’emozione che influisce in modo significativo su tutti i nostri processi cognitivi e nello specifico su:
Oltre a livello cognitivo, la gioia influisce sulla nostra predisposizione verso il futuro e sulle relazioni sociali: la gioia rende più aperti al contatto con le altre persone e più propensi all’interazione.
Il lavoro nella nostra vita è fonte di realizzazione personale e di relazioni costruttive con le altre persone per cui sicuramente è una dimensione in cui possiamo provare gioia. Come ha spiegato bene lo studio di Botton (2009) la gioia deriva dal coinvolgimento e dalla conoscenza dei processi cui si partecipa.
Non dobbiamo però pensare che la gioia sul lavoro sia legata unicamente alla riuscita o al successo legati alla job performance, esistono alcune dimensioni fondamentali che sono ugualmente in grado di procurare gioia, su una base più stabile e continuativa:
Anche un’emozione positiva come la gioia può avere dei lati oscuri.
Ci sono dei ruoli in cui, paradossalmente, è necessario essere felici o quantomeno mostrare gioia e apertura verso gli altri. Si pensi per esempio a professionisti e professioniste costantemente in contatto con clienti, in cui la felicità è anche indice della performance professionale. Questo comportamento di gioia forzata, quindi non naturale, può generare alla lunga problemi di dissonanza emotiva. In tal caso, l’obbligo di essere felice potrebbe entrare in conflitto con le vere emozioni provate dalla persona e creare una sorta di cortocircuito emotivo creando così problemi di equilibrio nella persona.
Schaubroeck e Jones (2000) definiscono la dissonanza emotiva come un “disequilibrio disturbato” tra emozioni espresse e sperimentate, suggerendo che quando le emozioni espresse dalle persone combaciano con le aspettative del contesto, ma sono in contrasto con quelle realmente provate si generano una serie di esiti negativi sul proprio lavoro.
La tristezza è un’emozione complessa e difficilmente definibile, in quanto è caratterizzata da molte sfumature diverse: si può essere tristi perché è nuvoloso e non c’è il sole o per la perdita di una persona cara. Inoltre, rispetto alla gioia, è più duratura nel tempo.
Da un punto di vista professionale possiamo distinguere tra due tipi di tristezza:
Questa emozione ha la funzione indispensabile di rallentare le attività corporee di fronte all’evento attivante. Questo consente alle persone di avere un tempo più lungo per osservare con attenzione il problema, riflettere e soprattutto per raccogliere tutte le energie necessarie per risolverlo. Ma la tristezza ha anche un ruolo fondamentale: serve infatti a rafforzare i legami sociali. Le persone tristi spesso spingono gli altri a comportamenti pro sociali, che vanno dal cercare di risollevare il morale alla condivisione dell’emozione, sino al tentativo di risolvere le cause della tristezza.
La reazione alla tristezza è una modifica del nostro modo di essere rispetto al mondo che ci circonda: il caso più frequente è l’abbassamento dell’attenzione rispetto a tutto il resto per focalizzarsi su di noi al fine di risolvere il problema.
Le ricerche psicologiche hanno infatti dimostrato che spesso la manifestazione della tristezza è uno dei modi che apprendiamo sin da bambini per spingere gli altri ad aiutarci.
Purtroppo, nel mondo del lavoro, le display rules legate alla tristezza sono molto vincolanti in quanto un’emozione che abbassa il livello di attenzione e focalizza su se stessi è anti-produttiva: per questo la manifestazione della tristezza è spesso scoraggiata professionalmente.
Come ci esplicita Francesca Romano Puggelli nell’interessante libro “Emozioni al lavoro”, esistono specifiche strategie di approccio alla tristezza per gestirla in ambito lavorativo che ci consentono di passare da un setback (ovvero un evento negativo) a un comeback (ovvero una rimonta).
È inevitabile provare nella nostra vita gioia o tristezza, spesso anche nell’arco della stessa giornata. Quando si manifestano in noi iniziamo a pensare alla loro funzione adattiva. Queste emozioni infatti ci fanno “rientrare” nello stato di consapevolezza del nostro qui ed ora che molto spesso trascuriamo. In tal modo il nostro approccio davanti alle emozioni “negative” diventa più strategico e funzionale.
Aprirsi alle emozioni è fondamentale in azienda come nella vita privata: identificare, accettare e gestire le nostre emozioni è un compito molto importante per vivere una vita felice.
Alcuni di voi dicono: “La gioia è più grande del dolore”, e altri dicono: “No, è più grande il dolore”.
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l’una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l’altro è addormentato nel vostro letto.
(Kahlil Gibran)
Potrebbe interessarti anche Emozioni in libertà: in azienda è possibile?
F.Romana Puggelli, Emozioni al lavoro. Il sole 24 ore.
S.Fineman, Le emozioni nell’organizzazione. Raffaello Cortina Editore.