Le abitudini sono dure a morire. Lo sappiamo bene, quando non riusciamo a smettere di mangiare dolci, continuiamo a bere troppi caffè o scorriamo i post su Facebook quando in realtà dovremo riprendere a lavorare.
Scegliere di agire diversamente, soprattutto quando siamo stressati, è sicuramente difficile. Siamo infatti programmati per fare maggiormente le cose che ci fanno stare bene rispetto a quelle che possono farci stare male.
E non si tratta solamente di una massima filosofica, ma di un meccanismo cerebrale basato sul circuito della ricompensa. In estrema sintesi, un trigger (sentirsi affamati) è seguito da un comportamento (mangiare) che comporta una ricompensa (sentirsi sazi).
Ogni volta che facciamo qualcosa per darci sollievo, rinforziamo tale meccanismo che a poco a poco diventa automatico e probabilmente ripetuto. E’ così che creiamo una nuova abitudine, buona o cattiva che sia.
Infatti, senza il sistema di ricompensa, probabilmente non mangeremmo, non cercheremmo attivamente partner sessuali, non ci sentiremmo gratificati dal vedere giocare la nostra squadra del cuore, ma neanche inizieremmo a fumare.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel mondo il numero di fumatori si avvicina al miliardo e il 75% di essi vuole smettere di fumare.
Negli USA, le compagnie di tabacco sono state accusate di aver ingannato i fumatori, negando che la nicotina creasse dipendenza. Gli studi in letteratura di contro dimostrano come la dipendenza da nicotina sia addirittura superiore agli oppiacei (eroina).
La dipendenza da nicotina può essere inoltre aumentata con l’utilizzo di altre sostanze, come l’ammoniaca, sostanza tossica, e la teobromina, presente nel cacao, sotterfugi ampiamente utilizzati dalle industrie del tabacco.
La nicotina comporta il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che provoca sensazioni positive, accompagnate da un senso di ricompensa e di piacere.
Il cervello di un fumatore abituale è meno sollecitato a produrre spontaneamente dopamina, cosicché i livelli del neurotrasmettitore decrescono. Ciò potrebbe spiegare perché le persone tendono a fumare di più e diventarne dipendenti, al fine di riacquisire una percezione di ricompensa e di piacere.
L’effetto della nicotina è però di breve durata e spesso è seguito da sintomi da astinenza, come maggiore irritabilità e un forte desiderio di fumare un’altra sigaretta.
La maggior parte della nostra giornata, viene trascorsa sul luogo di lavoro. Lo stress legato ad un’agenda piena di impegni, l’emicrania dovuta ad ore passate davanti al pc, ma anche i momenti di pausa con i colleghi possono costituire situazioni in cui fumare diventa una strategia per ristabilire il proprio stato di equilibrio emotivo.
Il contesto aziendale diventa pertanto un terreno fertile per promuovere una cultura smoke-free. Principio che molte realtà italiane hanno iniziato negli anni a perseguire, e per proporre programmi per la disassuefazione dal fumo, che dalle ricerche in letteratura i lavoratori, fumatori e non, sembrano fortemente apprezzare.
Vediamo quindi quattro principi che possono aiutare il fumatore a riflettere sul suo rapporto con il fumo in azienda.
Da una metanalisi del 2018, condotta presso l’università di Pittsburgh, i meccanismi cerebrali non basterebbero a giustificare la dipendenza da nicotina: fumare sembrerebbe infatti facilitare l’interazione sociale.
Dopo aver assunto nicotina, le persone tendono a descriversi come più amichevoli, estroversi e meno ansiosi nel socializzare; rispetto a chi non ha fumato da almeno 24 ore. Chi ha assunto nicotina tende a riconoscere maggiormente i segnali sociali facciali presentati su uno schermo di un computer.
Inoltre, sembra che un terzo delle sigarette consumate nella giornata sia fumato in situazioni sociali e che la maggior parte dei fumatori, quando vedono altre persone fumare, tendono anche loro ad accendersi una sigaretta. Tali considerazioni sembrano valere sia per fumatori abituali che fumatori occasionali.
Se hai iniziato o stai pensando di smettere di fumare, può esserti utile prendere consapevolezza di come ti senti nelle relazioni sociali e di come il clima lavorativo può influire sulla prossima sigaretta.
Perché spesso le persone associano il caffè con la sigaretta? E perché prendersi una pausa consiste nel fumare una sigaretta?
Il condizionamento classico e condizionamento operante ci aiutano a capire tali comportamenti.
Secondo il condizionamento classico, conosciuto attraverso gli studi di Pavlov sui cani, quanto più uno stimolo viene associato ad una risposta, tanto più il presentarsi dello stimolo porterà ad elicitare sempre la stessa reazione. Quindi, ogni volta che fumi dopo la pausa caffè, aumenti la probabilità di accenderti una sigaretta dopo il caffè.
Secondo il condizionamento operante invece, studiato da Skinner, tanto più ad un comportamento segue una sensazione di piacere, tanto più aumenterà la probabilità mi mettere in atto quel comportamento. Ogni volta che fumi una sigaretta e quella sigaretta ti da piacere, aumenti la probabilità di fumare in futuro un’altra sigaretta.
Prova a prestare attenzione a che cosa sa, di cosa profuma la sigaretta: più informazioni arrivano al cervello, più aumenti la possibilità di scegliere e di riuscire a sostituire il fumare con comportamenti più sani.
Lo stress è un fenomeno molto comune, che può comportare sintomi come il mal di testa, il respiro corto, tachicardia, irritabilità e ansia.
Tali condizioni possono portare il lavoratore a fumare di più, conducendo ad un immediato senso di rilassamento: la nicotina raggiunge infatti il cervello in circa dieci secondi e inizialmente si percepisce un aumento della concentrazione, un rilassamento muscolare, una riduzione dell’appetito e una diminuzione dell’ansia e dello stress.
Tuttavia, questa sensazione è temporanea e presto aumenta il bisogno di craving e incrementa l’ansia e la tensione.
Nel momento in cui ti senti sotto stress, prima di accenderti una sigaretta prova a mettere in atto strategie alternative: prendi una boccata d’aria, fai dei respiri profondi, vai a fare due chiacchiere con un collega simpatico.
Se si desidera, si può smettere di fumare, lavorando sui pensieri e sulle emozioni che possono influire sul mantenimento di un comportamento problematico e aumentando così la propria autoefficacia.
La dipendenza da nicotina è un disturbo clinicamente riconosciuto dal DSM 5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali. Se hai deciso di smettere di fumare, può essere utile ricorrere ad un aiuto specialistico.
Dalle ricerche infatti, si è visto come la maggior parte dei fumatori vorrebbe smettere e quanto il percorso psicologico risulti essere un intervento efficace per la disassuefazione da fumo.
Lo psicologo valuta lo stato di dipendenza dal fumo e il ruolo che il fumare assume nella vita del paziente. Fornisce al futuro ex fumatore una psicoeducazione rispetto all’uso del tabacco, aiuta ad identificare i trigger, esterni ed interni, che possono portare ad accedere una sigaretta.
Sostiene il paziente nel sostituire il fumare con un comportamento differente e più adattivo, enfatizzando i benefici a breve e a lungo termine dello smettere di fumare.
Nel 1986 la LILT ha stabilito un protocollo di intesa con il Ministero della Salute e con l’Istituto Superiore della Sanità per il trattamento della dipendenza da fumo.
Mindwork sostiene la lotta contro il fumo di LILT Milano Monza e Brianza: puoi prenotare con i nostri specialisti, che hanno ricevuto una formazione specifica da LILT, un percorso mirato e personalizzato che potrà supportare la tua motivazione nel dire addio al fumo. Clicca qui per iniziare.
“La volontà è il motore che muove e comanda tutto” afferma Piera, volontaria LILT che ci racconta nella sua testimonianza come lei e sua figlia siano riuscite a smettere di fumare. Può davvero essere l’ultima sigaretta, nel momento in cui trovi la motivazione e le strategie giuste per farlo.
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Martin, Lea M, and Michael A Sayette. “A review of the effects of nicotine on social functioning.” Experimental and clinical psychopharmacology vol. 26,5 (2018): 425-439.
Allen Carr. “E’ facile smettere di fumare se sai come farlo.” Ewi Editrice 2018
Ministero della Salute